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CREDITI
concept e regia LA BALLATA DEI LENNA
in scena MIRIAM SELIMA FIENO
assistenza artistica NICOLA DI CHIO
testi KHALIFA ABO KHRAISSE, GIANCARLO FIENO, MIRIAM SELIMA FIENO
drammaturgia PAOLA DI MITRI
regia documentaria e montaggio DAVIDE CRUDETTI
archivio anni ’90 e Super8 FAMIGLIA FIENO
riprese in Italia MIRIAM SELIMA FIENO
riprese in Libia KHALIFA ABO KHRAISSE
musiche originali TEHO TEARDO
progettazione e realizzazione scene PAOLA VILLANI
light design DAVIDE RIGODANZA
suono BODEGA MULTIMEDIA
assistente di produzione SARA CONSOLI
consulenza sulle tematiche ANDREA SEGRE (ZALAB), STEFANIA MASCETTI, CHIARA NIELSEN (INTERNAZIONALE)
produzione LA BALLATA DEI LENNA
produzione esecutiva ACTI TEATRI INDIPENDENTI
con il sostegno di FESTIVAL DELLE COLLINE TORINESI, TPE/ TEATRO PIEMONTE EUROPA, CENTRO DI RESIDENZA DELL’EMILIA ROMAGNA LA CORTE OSPITALE
progetto vincitore PREMIO SCINTILLE 2018
progetto realizzato con il sostegno del BANDO ORA! COMPAGNIA DI SAN PAOLO
1. ABSTRACT
Libya. Back Home segue il viaggio di Miriam Selima Fieno verso la Libia, nel tentativo di mettersi sulle tracce delle sue origini nordafricane. A partire dai documenti di famiglia, Miriam ci conduce in un’investigazione personale, in un’esperienza radicale, in una storia che la ossessiona segretamente e che la porta a conoscere Salem un cugino libico di cui non conosceva l’esistenza, l’iracheno Haidar ex professore di inglese all’università di Tripoli e Khalifa Abo Khraisse, giornalista libico e corrispondente dalla Libia per alcune testate italiane. La storia ricostruisce un viaggio capace di scavare nel cuore di un’urgenza familiare, sociale e politica e raccontare, attraverso il rapporto travagliato e ancora esistente tra la Libia e l’Italia, una storia di colonizzazione, amore e turbolenza politica che continua fino ad oggi.
«Per sentire com’è vivere oggi in Libia, voglio che immaginiate qualcuno seduto in una stanza, piena di schermi televisivi montati su tutte e quattro le pareti, dall’alto verso il basso. Questi schermi continuano a mostrare cose diverse in ogni momento, e la persona nella stanza non ha il telecomando. Ogni pochi secondi il programma cambia su tutti gli schermi, ed è tutto a pieno volume e confuso. È troppo difficile spiegare a qualcuno al di fuori di quella stanza cosa vuol dire essere la persona nella stanza, ed è difficile sapere cosa sta succedendo fuori dalla stanza. Siamo tutti la persona nella stanza, a Tripoli, Livorno, Roma, Tunisi, tutti. Non siamo altro che in stanze diverse.»
Khalifa Abo Khraisse
2. IL PROGETTO ARTISTICO
LIBYA. BACK HOME parte dalla storia familiare di Miriam Selima Fieno.
Molti anni dopo la morte del nonno, Giancarlo Fieno, Miriam viene a conoscenza di un libro di memorie finito di scrivere nel 1993. Giancarlo narra le vicende che lo vedono coinvolto a partire dal 1943, anno in cui viene destinato al fronte nordafricano, in Libia, come medico di guerra. Giancarlo resta in Libia per 27 anni svolgendo con passione la sua professione e durante questi anni incontra una donna libica, Uorda. I due si innamorano e con non poche difficoltà riescono a sposarsi. Dalla loro unione nascono sei figli, tra cui il padre di Miriam, Riccardo Fieno.
L’intera famiglia risiede felicemente in Libia fino al 1970, anno in cui si trova costretta a partire per l’Italia a causa dell’arrivo al potere di Mu’ammar Gheddafi e degli imminenti cambiamenti sociali e politici.
A seguito del ritrovamento del libro, Miriam inizia a raccogliere fotografie, Superotto e documenti appartenuti ai nonni. Con l'aiuto del padre ricostruisce una mappa storica e geografica della Libia, scopre contatti di parenti libici di cui non conosceva l’esistenza, e decide di avviare tutte le pratiche necessarie per intraprendere un viaggio che la porterà in Libia, verso i luoghi dove la sua famiglia ha vissuto.
Ma presto Miriam si accorge che andare in Libia, di questi tempi e per vie legali, non è facile come si sarebbe aspettata.
Nel corso della sua ricerca, Miriam entra in contatto con Salem un suo cugino libico di cui non conosceva l’esistenza, l’iracheno Haidar ex professore di inglese all’università di Tripoli e Khalifa Abo Khraisse, giornalista e corrispondente da Tripoli di alcune testate italiane sulle quali riporta il conflitto politico in Libia.
Miriam instaura con Salem, Haidar e Khalifa una quotidiana corrispondenza, e una forte amicizia, che la portano a riflettere sul passato e il presente, sul rapporto travagliato e ancora esistente tra la Libia e l’Italia. Il racconto della vita quotidiana della sua nuova famiglia libica si svolge in un campo di dialogo paritario, dove svelare qualcosa di intimo è il contrario stesso della morte e celebrarsi nel racconto diventa un rito collettivo.
Molti anni dopo la morte del nonno, Giancarlo Fieno, Miriam viene a conoscenza di un libro di memorie finito di scrivere nel 1993. Giancarlo narra le vicende che lo vedono coinvolto a partire dal 1943, anno in cui viene destinato al fronte nordafricano, in Libia, come medico di guerra. Giancarlo resta in Libia per 27 anni svolgendo con passione la sua professione e durante questi anni incontra una donna libica, Uorda. I due si innamorano e con non poche difficoltà riescono a sposarsi. Dalla loro unione nascono sei figli, tra cui il padre di Miriam, Riccardo Fieno.
L’intera famiglia risiede felicemente in Libia fino al 1970, anno in cui si trova costretta a partire per l’Italia a causa dell’arrivo al potere di Mu’ammar Gheddafi e degli imminenti cambiamenti sociali e politici.
A seguito del ritrovamento del libro, Miriam inizia a raccogliere fotografie, Superotto e documenti appartenuti ai nonni. Con l'aiuto del padre ricostruisce una mappa storica e geografica della Libia, scopre contatti di parenti libici di cui non conosceva l’esistenza, e decide di avviare tutte le pratiche necessarie per intraprendere un viaggio che la porterà in Libia, verso i luoghi dove la sua famiglia ha vissuto.
Ma presto Miriam si accorge che andare in Libia, di questi tempi e per vie legali, non è facile come si sarebbe aspettata.
Nel corso della sua ricerca, Miriam entra in contatto con Salem un suo cugino libico di cui non conosceva l’esistenza, l’iracheno Haidar ex professore di inglese all’università di Tripoli e Khalifa Abo Khraisse, giornalista e corrispondente da Tripoli di alcune testate italiane sulle quali riporta il conflitto politico in Libia.
Miriam instaura con Salem, Haidar e Khalifa una quotidiana corrispondenza, e una forte amicizia, che la portano a riflettere sul passato e il presente, sul rapporto travagliato e ancora esistente tra la Libia e l’Italia. Il racconto della vita quotidiana della sua nuova famiglia libica si svolge in un campo di dialogo paritario, dove svelare qualcosa di intimo è il contrario stesso della morte e celebrarsi nel racconto diventa un rito collettivo.
2.1 LE ORIGINI DELL'IDEA
Ho sempre portato addosso le mie radici con orgoglio.
Ho sempre ritenuto preziosissima quella percentuale di sangue arabo che mi scorre nelle vene.
Da bambina mi consideravo un esemplare raro di meticciato. E rara mi era sempre parsa la storia che la mia famiglia aveva scritto. Anche perché l'effetto che destava sugli altri non appena ne facevo cenno era di grande stupore e questa cosa, da quando ne ho ricordo, mi ha sempre riempito di fierezza. Come fosse un merito. Ma l'incanto era tale da fare effetto anche su di me, tanto da non avermi mai davvero concesso di scoprire fino in fondo come fossero andate le cose. A me bastava sapere che il mio nonno genovese, nel 1943 era partito per la Libia come medico di guerra; e nella sua amata Libia vi era rimasto per ben 27 anni, svolgendo con passione e assoluta dedizione la sua professione; perché in quella meravigliosa Libia aveva incontrato gli occhi di una giovane donna di nome Uorda già promessa a un uomo della sua tribù, ma di cui lui si innamorò dissennatamente e che con non poche difficoltà riuscì a sposare, vista la determinazione del sentimento fuori misura che li legò sin dal primo incontro. Dalla loro unione nacquero sei figli tra cui mio papà il quale aveva 14 anni quando, a malincuore, con tutta la famiglia dovette stabilirsi definitivamente in Italia visto che il clima a Tripoli intorno agli anni 70 non pronosticava nulla di quel futuro che mio nonno, da buon padre di famiglia, aveva in mente per i suoi figli.
E devo dire che sapere tutto questo mi è bastato fino a quando un bel giorno, nell'estate del 2017, non mi è ricapitato tra le mani il libro di memorie che mio nonno, tanti anni prima, aveva con cura redatto a mano e ricopiato con la macchina da scrivere, narrante i suoi 27 anni trascorsi in Libia tra il 1943 e il 1970.
Sapevo di questo libro, ma non mi ero mai decisa a leggerlo, presa da quel misto indecifrabile di timore e brama che si prova quando si stringe tra le mani la possibilità di scoprire quel qualcosa di più sulle proprie origini, che può far riconsiderare il proprio presente. Ma quello stesso giorno una reazione istintiva mi fece sentire addosso tutto il peso della mia identità.
Avevo appena letto un allarmante report di Amnesty sulla Libia il quale mi confermava quel ritratto desolante che ormai da anni, nel comune immaginario occidentale, aleggia a proposito di questa nazione: Libia come terra di transito, dove prosperano traffici e trafficanti, luogo di tratte e cuore della detenzione arbitraria a tempo indeterminato, scenario di violenze, torture ed estorsioni, sorgente viva delle contestate manovre dei governi europei.
Ne nacque subito una riflessione trasversale sullo stato di paura che ci attanaglia, sull'emergenza migratoria, sulle barriere culturali e i nuovi muri della nostra contemporaneità.
Decisi che era un dovere per me leggere quel libro. Fui presa da un fermo desiderio di risposte. Sentii che tra le parole di mio nonno non avrei ritrovato solo le mie di radici.
In un'epoca in cui il terrore spinge a rivendicare appartenenze e identità nazionali, come se un confine geografico potesse davvero far sentire vicini milioni di estranei, forse è davvero arrivato il momento di ritrovare tutti le proprie origini, ho pensato in quel momento.
E così ho cominciato a leggere con l'idea che l'integrazione parte da qui. Capire davvero chi siamo e da quale passato veniamo. Tutti. Cominciando da me.
Ho sempre ritenuto preziosissima quella percentuale di sangue arabo che mi scorre nelle vene.
Da bambina mi consideravo un esemplare raro di meticciato. E rara mi era sempre parsa la storia che la mia famiglia aveva scritto. Anche perché l'effetto che destava sugli altri non appena ne facevo cenno era di grande stupore e questa cosa, da quando ne ho ricordo, mi ha sempre riempito di fierezza. Come fosse un merito. Ma l'incanto era tale da fare effetto anche su di me, tanto da non avermi mai davvero concesso di scoprire fino in fondo come fossero andate le cose. A me bastava sapere che il mio nonno genovese, nel 1943 era partito per la Libia come medico di guerra; e nella sua amata Libia vi era rimasto per ben 27 anni, svolgendo con passione e assoluta dedizione la sua professione; perché in quella meravigliosa Libia aveva incontrato gli occhi di una giovane donna di nome Uorda già promessa a un uomo della sua tribù, ma di cui lui si innamorò dissennatamente e che con non poche difficoltà riuscì a sposare, vista la determinazione del sentimento fuori misura che li legò sin dal primo incontro. Dalla loro unione nacquero sei figli tra cui mio papà il quale aveva 14 anni quando, a malincuore, con tutta la famiglia dovette stabilirsi definitivamente in Italia visto che il clima a Tripoli intorno agli anni 70 non pronosticava nulla di quel futuro che mio nonno, da buon padre di famiglia, aveva in mente per i suoi figli.
E devo dire che sapere tutto questo mi è bastato fino a quando un bel giorno, nell'estate del 2017, non mi è ricapitato tra le mani il libro di memorie che mio nonno, tanti anni prima, aveva con cura redatto a mano e ricopiato con la macchina da scrivere, narrante i suoi 27 anni trascorsi in Libia tra il 1943 e il 1970.
Sapevo di questo libro, ma non mi ero mai decisa a leggerlo, presa da quel misto indecifrabile di timore e brama che si prova quando si stringe tra le mani la possibilità di scoprire quel qualcosa di più sulle proprie origini, che può far riconsiderare il proprio presente. Ma quello stesso giorno una reazione istintiva mi fece sentire addosso tutto il peso della mia identità.
Avevo appena letto un allarmante report di Amnesty sulla Libia il quale mi confermava quel ritratto desolante che ormai da anni, nel comune immaginario occidentale, aleggia a proposito di questa nazione: Libia come terra di transito, dove prosperano traffici e trafficanti, luogo di tratte e cuore della detenzione arbitraria a tempo indeterminato, scenario di violenze, torture ed estorsioni, sorgente viva delle contestate manovre dei governi europei.
Ne nacque subito una riflessione trasversale sullo stato di paura che ci attanaglia, sull'emergenza migratoria, sulle barriere culturali e i nuovi muri della nostra contemporaneità.
Decisi che era un dovere per me leggere quel libro. Fui presa da un fermo desiderio di risposte. Sentii che tra le parole di mio nonno non avrei ritrovato solo le mie di radici.
In un'epoca in cui il terrore spinge a rivendicare appartenenze e identità nazionali, come se un confine geografico potesse davvero far sentire vicini milioni di estranei, forse è davvero arrivato il momento di ritrovare tutti le proprie origini, ho pensato in quel momento.
E così ho cominciato a leggere con l'idea che l'integrazione parte da qui. Capire davvero chi siamo e da quale passato veniamo. Tutti. Cominciando da me.
3. DICONO DI NOI
3.1 I PREMI
LIBYA. BACK HOME è vincitore di:
• PREMIO SCINTILLE 2018 promosso da Festival Asti Teatro, Tieffe Teatro Menotti di Milano
• BANDO ORA! PRODUZIONI DI CULTURA CONTEMPORANEA promosso da Compagnia di San Paolo
3.2 LA RASSEGNA STAMPA
»Al trio de La Ballata dei Lenna va il merito di aver composto uno spettacolo dal profumo europeo, perché di Europa parla sia nello stile che nei contenuti, ostile e inabissata nel proprio convincimento di alterità rispetto all’altra parte del Mediterraneo. Perché inarrivabile conquista è questo desiderio di familiarità con ciò che non può esserlo, tradito da una distanza ineludibile tra due mondi che si vorrebbero vicini ma non lo sono.»
Per TEATRO E CRITICA Simone Nebbia
«Libya. Back Home è uno spettacolo ben fatto. Miriam, la protagonista, rappresenta insieme se stessa figlia di libici, l’Italia, la Libia felice del nonno e la Libia di oggi, alternando immagini storiche, filmati, registrazioni audio, telefonante in diretta (ovviamente con trucco teatrale) , e il racconto personale. Nonostante sia un monologo, le voci sono tante, le situazioni molteplici, l'intreccio anche coinvolgente. Il risultato è di una grande vitalità e cultura drammaturgia, costruita con un montaggio sapiente sul piano politico ed emozionale e a differenza di tante storie sempre ostinatamente lacrimevoli sui migranti, questa è viva, divertente e malinconica, dolorosa e vera. E infonde grande sconcerto per noi perché da europei, in quei resoconti sulla Libia avvertiamo la mancanza di speranza storica. Più atroce di qualunque tragedia.»
Per REPUBBLICA Anna Bandettini
«È una storia non conclusa, commovente, che ci sprofonda in una realtà che ci è difficile comprendere fino in fondo.»
Per DELTEATRO.IT Maria Grazia Gregori
«Recently presented at the Romeuropa Festival in Rome, this multimedia piece tries to connect present and past Libya, balancing intimate memories, as well as encounters with three characters based in Tripoli.»
Per MIDDLE EAST EYE Naima Morelli